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  Partiamo dal concetto di genitorialità, immagino che essere genitori significhi talmente tante cose che darne una definizione è restrittivo, solo essere in un ruolo fa comprendere cosa significhi quel ruolo, e la genitorialità è molto più di esso perché […]

 

Partiamo dal concetto di genitorialità, immagino che essere genitori significhi talmente tante cose che darne una definizione è restrittivo, solo essere in un ruolo fa comprendere cosa significhi quel ruolo, e la genitorialità è molto più di esso perché dietro ai genitori ci sono sempre e prima di tutto delle “persone”.

La pretesa non è di parlare della genitorialità in tutti i suoi aspetti, ma di creare un semplice tassello da cui far partire il discorso.

Mi piace sottolineare come “la genitorialità non sia decorativa”, non è qualcosa che si aggiunge ad uno stato precedente bensì crea qualcosa di nuovo, modificando profondamente la personalità dei genitori e della eventuale coppia, la quale diventa una famiglia, infatti nella sua funzione essa è strettamente collegata al sostegno ed al benessere familiare.

Personalmente ritengo che “genitori si diventa”, e lo si fa attraverso l’esperienza e la disponibilità a modellare le proprie abitudini di vita nel rispetto delle esigenze dei figli, la maggior parte di coloro che diventano genitore lo fanno senza conoscere le fasi di sviluppo di un bambino, ci affidiamo quindi all’istinto, all’esperienza della nostra infanzia, al sentimento comune dell’adulto di ritenere di possedere le capacità necessarie per crescere ed educare i figli, ritenendo di poter esercitare in modo competente il ruolo di genitore.

Questa fiducia di base è “assolutamente necessaria”, consente di affrontare tutte le situazioni nuove e le piccole e grandi sfide che sin da subito il ruolo di genitore ci pone nella vita quotidiana, anche in caso di mancanza di esperienza.

La convinzione della propria efficacia educativa ha quindi un ruolo importantissimo nella relazione genitori-figli, infatti è bene tener presente che l’educazione di un figlio è irreversibile dal momento che è impossibile tornare indietro, anche gli errori non ci permettono di tornare indietro, “ma non possiamo immaginare o volere un’esperienza educativa senza errori”.

Capacità genitoriale è compensare con nuovi interventi gli errori commessi, riconoscendo tuttavia la possibilità di sbagliare nuovamente e di poter nuovamente rimediare. Sono questi i motivi per cui i genitori con una buona fiducia di base si relazioneranno in modo positivo con i propri figli, cercando ed applicando delle soluzioni creative ai conflitti.

Tuttavia oggi accade di frequente che i genitori siano incerti nel loro ruolo, sia rispetto alla capacità di stabilire regole e fissare limiti, sia rispetto alla capacità di decodificare i vissuti emotivi propri e dei loro figli, con conseguente tendenza a relazionarsi con meno fiducia ed investendo meno energie nel cercare soluzioni ai conflitti. Il genitore in difficoltà, in quanto genitore, “possiede gli strumenti educativi ma ne è inconsapevole”, e tra i tanti è anche su questo aspetto che si focalizza la relazione/intervento di aiuto.
Crescere in un ambiente familiare sano non è una possibilità offerta al minore ma è un suo diritto, è quindi necessario promuovere forme di aiuto alle famiglie, non solo ai minori, “la questione educativa interroga l’intera comunità, sarebbe opportuno passare dall’ Io al Noi, dal fare da soli al fare insieme”.
Sono molti i momenti in cui le difficoltà incontrate nel ruolo di genitore sembrano essere insormontabili, ogni scelta risulta sbagliata e la mancanza di fiducia nei propri mezzi porta a forme di lassismo e delega, siamo di fronte a delle fragilità che possiamo definire “fragilità familiari”.
Il suddetto concetto risulta essere vasto, abbraccia una mole di situazioni diverse che han differenti livelli di criticità, per cui mi sono orientata sulla possibilità di provare ad essere utile partendo dalla mia idea che oggi seppur sono molte le famiglie fragili, è possibile lo siano solo in precisi periodi di vita, e questo non perché non ci siano buoni genitori.
La causa va ricercata anche nella complessità del cambiamento strutturale e sociale della famiglia di oggi, il quale comporta la nascita di nuovi assetti familiari, l’aumento di separazioni e divorzi, le famiglie ricomposte, e la difficoltà è nella continua negoziazione delle dinamiche inerenti un nucleo familiare e nella continua riorganizzazione del suo assetto.
Da non dimenticare altri eventi non prevedibili e non controllabili che sopraggiungono all’improvviso creando un disequilibrio all’interno della famiglia, ad esempio casi di disabilità, perdite premature o improvvise, aumento delle malattie croniche, conflittualità nella coppia.

Tutti questi casi sono momenti di vita in cui viene meno l’assetto precedentemente costruito, ed in cui i membri della famiglia devono ristabilire nuovi equilibri, una nuova organizzazione, e ci si aspetta che ciò accada sotto le direttive dei genitori i quali tuttavia in questi momenti difficili possono fare fatica ad attivare e trovare le risorse necessarie, risorse che hanno a disposizione ma che possono essere bloccate.
Un intervento di aiuto andrebbe nella direzione di una presa di consapevolezza di tali risorse, partendo dal presupposto che prima di essere genitori si è persone, con le fragilità tipiche dell’essere umano ed il “diritto di manifestarle”.

Altri fattori ad oggi diffusi e che contribuiscono alle fragilità, sono i ritmi di vita e di lavoro elevati i quali spesso si affiancano a difficoltà economiche, essi tolgono tempo alla relazione e all’ascolto dei bisogni emotivi dei figli e alla possibilità di “imparare” a comunicare con loro, ovvio che il ruolo di genitore sia in crisi!
Sono situazioni che generano stress, e un adulto vittima dello stress potrebbe smettere di reagire e relazionarsi in modo costruttivo con i propri figli, e la cosa peggiore è che i bambini imparano a gestire lo stress osservando l’adulto.
Gli stili educativi sono spesso contrapposti e confusi, c’è confusione tra autorevolezza e autoritarismo, i genitori sono in difficoltà nello stabilire ruoli chiari, e modalità comunicative efficaci, personalmente ritengo che un ruolo ce l’abbia “l’assenza di comunicazione sui problemi dell’essere genitore”, mancano vere occasioni di scambio opinioni tra i genitori sulle loro esperienze rispetto a questo ruolo.

Tendenzialmente non è un evento critico che crea fragilità, ma il sommarsi di più sfide a cui una famiglia va incontro, così nel tentativo di gestire le tensioni più acute possono venire meno le risorse necessarie, quindi una famiglia oggi fragile magari ha superato positivamente altri eventi critici in passato, l’idea di poter avere tutto sotto controllo è tra le grandi illusioni pronte a deludere.

Saranno le capacità adattive del sistema familiare quindi delle persone che lo compongono a determinare o meno la messa in atto del processo di cambiamento necessario a superare il momento critico, raggiungendo in modo creativo un nuovo equilibrio più funzionale alla situazione attuale, se al contrario ciò non avviene si potrebbe innescare nella famiglia un ciclo emotivo di sfiducia, sensi di colpa, rassegnazione e rifiuto, e ciò renderà sempre più difficile la comunicazione tra i membri, tra cui genitori e figli.

La transizione dallo stare bene al vivere la fragilità quindi è spesso determinata da mutevoli condizioni esterne o interne che non dipendono sempre da noi, ma “a noi è chiesto di affrontarle”.

Da qui si giunge al concetto di resilienza, un concetto di benessere diverso da quello proposto dagli ideali sociali e politici di tipo utopistico, afferma che stare bene non equivale ad assenza di problemi ma alla capacità di trovarne soluzione o di creare modi costruttivi per convivere con problemi non risolvibili”.

Perché e quando chiedere aiuto? Perché gli eventi critici possono colpire tutti, non c’è da farsene una colpa.

Quando un momento di fragilità familiare se non superato costruttivamente e se vissuto in solitudine, perpetua in condotte e relazioni disfunzionali, rischiando di trasformarsi in un’esperienza molto difficile da affrontare e superare, la famiglia potrebbe rimanere bloccata in una fase di stallo oppure sfaldarsi.
L’aiuto offerto dalle figure professionali sarà di “accogliere e contenere” le fragilità, le crisi, i percorsi difficili come legami recisi e malattie croniche, separazioni ed altro ancora.

Conosco perfettamente il problema successivo, ovvero il senso di vergogna che spesso accompagna o peggio blocca una richiesta di aiuto, il suggerimento è di comprendere che ammettere di avere delle difficoltà non deve essere in alcun modo tradotto come ammettere di essere genitori incompetenti, anzi, personalmente lo considero un atto di responsabilità, e compito dei professionisti è di abbattere ogni possibilità di stigmatizzazione.
Una famiglia fragile ha appunto delle fragilità, in un dato momento, ma offrire aiuto significa al contempo ammettere che ha delle risorse e potenzialità probabilmente bloccate dalla situazione di crisi, aiuto è accompagnare la famiglia alla riattivazione di queste risorse.

Approcci educativi e preventivi si incentrano sulle “life skills”, competenze o abilità di vita, individuate dall’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità (1987) e sono: la capacità di prendere decisioni, risolvere problemi, comunicare in modo efficace, relazionarsi, gestire emozioni e stress, il pensiero creativo e critico, l’empatia e l’autoconsapevolezza.
Promuovere lo sviluppo di queste capacità significa far riflettere genitori e figli sulle proprie potenzialità affinché queste competenze vengano alimentate nel tempo e potenziate, aiutando loro prima a riattivare il “senso di autoefficacia”, la convinzione di saper usare le proprie competenze nelle circostanze più appropriate.

Personalmente credo molto nello strumento della partecipazione, creare luoghi in cui le persone possano “stare”, luoghi “per” la famiglia, ad esempio all’interno dei servizi dell’infanzia, compresa la scuola.

Sono quelle le proposte di intervento che consistono nell’offrire uno “spazio di ascolto” privo di giudizio e ricette educative , che offra consulenza da parte di un professionista qualificato il quale conduce lo spazio in cui i genitori possono ritrovarsi “anche” insieme ad altri genitori e sentirsi liberi di esprimere, esplorare e condividere tra loro i propri vissuti, con attenzione particolare al sentimento di vergogna ed inadeguatezza che spesso è la causa di sequenze comunicative sterili all’interno della famiglia, e che quindi minano la possibilità di cambiamento.

Ciò consente di individuare ad esempio strategie e risorse comunicative a cui non si era ricorso, semplicemente attraverso l’ascolto dei racconti altrui, o creare insieme nuove modalità da sperimentare abbandonando i vecchi automatismi disfunzionali.

Condividere con altri la “fatica” di essere genitore consente di divenire più forti, più adulti, più vicini a sé stessi e agli altri, facilita l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé, dei propri schemi di risposta allo stress, migliora la gestione dei propri vissuti emozionali e la comprensione delle altrui modalità di comportamento.

Obiettivo è riattivare gli strumenti di cui la famiglia già dispone per stimolare un cambiamento positivo, acquisire nuovi strumenti creativi con cui gestire lo stress e promuovere nei genitori una maggiore consapevolezza della loro efficacia educativa.

Gli adulti come i bambini, imparano meglio quando sono aiutati e confrontati, e ricordo ancora una volta che genitori si diventa.

Selene Anna Paolo.


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